Being Daniele De Rossi

07/02/2024 alle 16:45.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Sarebbe bello poter fare un giro nella testa di Daniele De Rossi, perché possiamo soltanto immaginare che tipo di emozioni, percezioni e sensazioni stia vivendo.

Al netto di tutte le storture, le impalcature e le malizie mentali che abbiamo partorito negli ultimi venti giorni, in riferimento ai Friedkin, a Mourinho, ai "capitani", ai dirigenti, alle guerre di quartiere che trovano dimora a Trigoria e nelle radio, sui social e in televisione. Guerre inutili, perché ci sentiamo immotivatamente più importanti di ciò che raccontiamo e commentiamo. Perché da presuntuosi ci convinciamo che la gente penda dalle nostre labbra o dalle nostre penne. Essere Daniele De Rossi. Stare nella sua testa.

Quanto sarebbe bello poterlo fare, tipo il film Being John Malkovich, ma senza la possibilità, una volta entrati nella sua testa, di cambiargli il modo di vivere e di ragionare. Essere Daniele De Rossi per vivere quello che sta vivendo lui. Tornare a casa dopo la terza vittoria consecutiva e dopo i complimenti ricevuti al termine di una bella partita, anche se quella partita metteva davanti il modestissimo Cagliari. Chi se ne frega.

Ha preso la Roma in corsa. In corsa per modo di dire, perché la Roma era una macchina in panne, per colpa di tutti, a causa di una crisi di risultati che era una multiproprietà di responsabilità, nonostante le presunte operazioni simpatia del club. Perché c'è la volontà di riabilitare l'immagine della proprietà, della dirigenza, dello spogliatoio, e le mosse mediatiche delle ultime settimane mirino a convincere la piazza individuato il capro espiatorio fosse tutto rose e fiori.

Poi però si fa i conti con la solita gaffe, ma stavolta non ammette repliche, perché bucare l'appuntamento con la doverosa presenza al funerale di Giacomo Losi è sconcertante. Ancora più sconcertante il tentativo pessimo di giustificare le assenze pesanti coi motivi di ordine pubblico. Se così fosse, i funerali dei personaggi pubblici vedrebbero soltanto la presenza di preti e familiari. Velo pietoso.

Andiamo avanti, senza dimenticare. Daniele De Rossi non ha nulla a che vedere col circolo vizioso del recente passato. Calciatore-bandiera, leader carismatico, allenatore già prima che smettesse, poi giovane allenatore voglioso, anzi quasi smanioso di cominciare. Un piccolo aperitivo a Ferrara, e poi la grande occasione. E poi tre vittorie consecutive.

Immaginiamoci nella sua testa. Essere Daniele De Rossi in questi giorni dovrebbe essere come entrare in un frullatore. Dovrebbe. Perché poi immaginiamo come ci stia lui nella sua testa. Lucido nel capire che questo è il momento di restare lucidi. Distaccato quanto basta perché sa bene che i complimenti, gli articoli lusinghieri, il resoconto delle cene dove tutti sono fraterni amici sparirebbero in caso di risultati negativi. Stare nella testa di De Rossi significa sapere che dai nemici mi guardo io ma dagli amici mi guardi Iddio. Significa sapere che dalla stessa parte, dalla sua parte, ci staranno sempre e soltanto quelli che vede buttando lo sguardo a destra quando entra in campo con la sua squadra, ma più in generale ci sono e ci saranno i sessantamila che lo circondano quando sta in piedi davanti alla panchina.

Ma in queste ore, provando a stare nella testa di Daniele De Rossi, possiamo forse immaginare lo stato d'animo quando ha infilato la chiave nella toppa della porta di casa lunedì sera dopo mezzanotte e che tipo di sorriso non sia riuscito a trattenere incrociando gli sguardi dei familiari.

Piedi per terra, ok, ma c***o sono un allenatore, sono diventato l'allenatore della Roma e ho vinto le prime tre partite da allenatore della Roma.

In the box - @augustociardi75

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