LAROMA24.IT (Federico Baranello) - Il 17 giugno 2001 Roma si sveglia con un solo desiderio, un desiderio lungo diciotto lunghissimi anni. Una sensazione che dal giorno del gol di Pruzzo a Genova del Maggio 1983 non si è più rivissuta. Chi ha provato questa sensazione in quel di Marassi diciotto anni prima vorrebbe ripeterla, vorrebbe farla vivere a un figlio che non sa di cosa si stia parlando. Vorrebbe dedicarla a chi quel giorno ha festeggiato e ora non c’è più. La preoccupazione che tutto ciò possa svanire, pur essendo stata praticamente in testa per tutto il campionato, è sempre un pensiero latente per chi conosce la storia di questa società. Perché è troppo profonda la voglia di essere primi non essendo una consuetudine da queste parti. La settimana prima a Napoli questo timore lo si tocca con mano: prima Amoruso comunica che dobbiamo ancora soffrire per arrivare al traguardo, poi Batistuta e Totti donano linfa vitale al sogno e Pecchia, a una manciata di minuti dal fischio finale, rinvia i festeggiamenti. Ne segue una settimana vissuta con il fiato sospeso; per chi aspetta da diciotto anni, è un’eternità.
Il popolo giallorosso sa che tutto può succedere perché ne ha viste troppe, ma non smette mai di crederci. Allora si presenta all’Olimpico per Roma - Parma e colora gli spalti con il sentimento. Al 19’ Monsieur Candela da Bedarieux, un romano nato in Francia, porge a Totti non un pallone ma “Il Pallone”. Il Capitano “con un destro in cui c’era tutta la rabbia e l’attesa di una città, ha piegato un Buffon per niente arrendevole. "La rete si è gonfiata come una nuvola di coriandoli, l’urlo disumano probabilmente è arrivato sino a Torino” (Cit. Corriere dello Sport, 18 giugno 2001). Al 39’ il gol di Montella, il gol della tranquillità. Una tranquillità sempre relativa da queste parti. Infine al 33’ del secondo tempo il gol di Batistuta regala la consapevolezza di aver raggiunto un sogno. Ma nel destino di chi ha sposato questi colori c’è sempre l’imprevisto e relativa preoccupazione. A cinque minuti dalla fine molti tifosi invadono il campo. Seguono quindici minuti lunghissimi in cui si cerca di far risalire sugli spalti gli invasori per non vanificare quanto di buono si sta facendo in campo. Per fortuna l’arbitro Braschi attende e il gioco può riprendere.
Al fischio finale il sogno è realtà. Il padre può abbracciare il figlio, in un abbraccio forte di chi sa quanto sono rari questi momenti. Può ora volgere lo sguardo verso il cielo, con il viso solcato da una lacrima, e dedicare a chi non c’è più questa gioia. Quando vince la Roma vince un’intera città, vince un intero popolo, vince il sentimento.