Vincere malgrado tutto

30/12/2019 alle 19:05.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Da un mese, Paulo Fonseca è diventato di tutti. In mezzo anno si è passati dalle battute demenziali su Zorro, alla derisione di colui che era superficialmente bollato come ultima scelta dopo i no di chiunque, Mihajlovic e De Zerbi compresi. Soliti luoghi comuni di ambienti chiusi, dove regna ignoranza e ingiustificata arroganza. Poi è stata la volta delle etichette. Prima partita ed ecco il nuovo Zeman, seconda partita ed ecco il catenacciaro, di quelli che ce ne sono a bizzeffe anche in Serie C senza dovere arrivare a Donetsk. Oggi Fonseca finisce sulle copertine dei giornali. C’è voglia di cavalcarlo, come un'onda, di raccontare aneddoti legati alla sua infanzia, al Mozambico, ai suoi gusti musicali. E chi al suo annuncio rimpiangeva non solo Conte e Gasperini, ma pure l’allenatore del Sassuolo e quello del Bologna, oggi sfrutta la memoria corta popolare per ritagliarsi un ruolo di fonsechiano della prima ora. Potenza dei risultati. La Roma di Fonseca non ha ancora alzato un trofeo, ma sta vincendo partite. Sta vincendo e convincendo. Perché ai punti in classifica abbina identità, miglioramento dei singoli calciatori, piacere che si prova nel vedere una partita della sua squadra.

Fonseca in campo sbaglia pochissimo. Fuori dal campo non ha mai sbagliato nulla. Impeccabile. Intelligente da sapere che il giudizio sul suo operato sarà determinato dai risultati finali. L’unica cosa che conta. Stanno per tornare le coppe, prima la Coppa Italia, poi l’Europa League. Il giudizio sulla Roma in questi anni è stato fortemente condizionato da queste competizioni, nell’era in cui è stato impensabile contendere lo scudetto alla Juventus. Le coppe che concedono gloria a squadre che sembrava non avessero la minima chance di vittoria. La Roma di questo decennio, a parte la stagione splendida in Champions League, è stata disastrosa nelle coppe. Immaginate quale sarebbe il giudizio sulla Roma americana se ai piazzamenti in campionato e alla crescita del club si fossero aggiunte una Coppa Italia e una Supercoppa. Invece no, la Roma ha sempre affrontato Coppa Italia ed Europa League in modo approssimativo, sciatto, superficiale, perché non si è mai sentita la necessità di vincerle, non portando esse in dote vagonate di soldi e di visibilità. Mentalità perdente in un calcio che dimentica che il miglior veicolo pubblicitario e la maggiore fonte di guadagni sono le vittorie e non le classifiche di Forbes.

E ci risiamo. Fino a un mese fa nelle ricerche su google ci si faceva fare lo spelling per capire come scrivere Friedkin. Oggi siamo già al confidenziale. Dan e Ryan, padre e figlio. Come se ci passassimo da anni il giorno del ringraziamento insieme. Si snocciolano dati sui patrimoni personali, si contano le Toyota vendute nell’ultimo biennio, si sognano i ritorni di Totti e De Rossi. Si idealizzano posti al sole. Film già visti. Spoilerati dal passato recente. La storia la scriveranno i risultati. Fonseca, Friedkin senior e junior, pardon, Dan e Ryan, così come Pallotta, faranno la storia se porteranno trofei. Vincere, malgrado tutto, conterà sempre più delle classifiche di Forbes, degli aneddoti sulle storie personali e del ritorno nei ranghi tecnici delle amate bandiere. Il voto sportivo a Pallotta non può essere positivo. Ok i miglioramenti patrimoniali, la crescita di tanti settori del club, benissimo le iniziative legate alla storia di una squadra che ha avuto grandi campioni. Ma l'assenza di trofei non è un dettaglio. Altrimenti è come se dovessimo valutare il lavoro di manager di una società di computer, che non ha ottenuto i risultati auspicati al suo arrivo, ma viene promosso perché ha rifatto i parcheggi dell'azienda, ha migliorato i pasti della mensa, e nei tornei di calcetto aziendali è spesso il capocannoniere.

In the box - @augustociardi

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