L'uomo in più

02/03/2020 alle 19:01.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Annunciato come colpo estivo, atteso come vero acquisto di gennaio dopo quattro mesi di peripezie fisiche, Henrikh Mkhitaryan sta iniziando a mostrare cosa si è persa la Roma per oltre un girone. Vero raccordo tra centrocampo e attacco, abile sia da finto esterno sia da trequartista centrale, dove ha meno incombenze tattiche e atletiche rispetto a quando deve coprire la fascia, l’armeno può essere il vero valore aggiunto per una squadra che tenta l’impresa di superare l’Atalanta.

A Cagliari, Kalinic era finalmente in giornata, ma la giocata di Mkhitaryan in occasione del gol del sorpasso è da grande calciatore. Inserimento, testa alta, pallone col contagiri per il compagno ben smarcato. I suoi numeri, i suoi assist, sono una manna per le punte. Nessuno si aspetti il leader carismatico che si carica la squadra sulle spalle quando c’è da reagire nei momenti bui. Lui il contributo lo offre con lampi fuori dall'ordinario, da leader tecnico. Ogni squadra ambiziosa deve avere un rifinitore col tasso qualitativo superiore alla media. Le fortune di Lazio e Atalanta stanno, anche, nei piedi di Luis Alberto e Ilicic. La Roma finora ha usufruito a intermittenza di Pellegrini, comunque meno tecnico del compagno di squadra venuto da Londra, e si è goduta per troppo poco tempo Pastore, che in un mese aveva comunque dimostrato che nel calcio muscolarmente ipertrofico, i cari vecchi trequartisti possono ancora servire.

Trequartista. Parola bandita da vocabolari del calcio moderno. Chi li ha, li sbatte sulla fascia a rincorrere i terzini avversari. Troppo lusso per il pallone che affida la regia ai portieri e si fissa sulle mode del momento. Mkhitaryan non ha la fisicità di Cristante, le rincorse di Veretout e gli scatti di Kluivert e Under. Ha i piedi buoni. E in una squadra votata al gioco propositivo, al “se la palla la abbiamo noi, l’avversario non può farci male”, uno coi piedi buoni come lui è una manna. In più vede la porta, e in una Roma che prima dei gol negli ultimi dieci giorni di Perez, Under e Kalinic segnava solo se girava Dzeko, le spizzate e i tiri piazzati dell’armeno possono essere ossigeno puro.

Se ne parla poco, ma quando fu annunciato dopo il derby della seconda giornata di andata, Roma fu destata da un'aria frizzante. Fino a quel momento, in attesa di verificare in campo la bontà o meno degli acquisti di Mancini e Smalling, Veretout, Diawara e Spinazzola, la città aveva sentito un piccolo friccico nel cuore soltanto all’annuncio a sorpresa del prolungamento di contratto di Dzeko. Mkhitaryan sollevò lo spirito della piazza. E tra i mille infortuni occorsi ai calciatori di Fonseca, gli stop del fantasista (liberiamo le parole fantasista e trequartista dai recinti della dialettica tattico-calcistica avveniristica) sono stati registrati come una regola, accolti come si attende ogni sera che cali il sole. Mentre invece la Roma perdendolo, a fine settembre a Lecce e poi a metà gennaio, ha rinunciato all’uomo chiamato ad aiutare la squadra nel salto di qualità che sarebbe servito tantissimo nei momenti in cui Dzeko era numero dieci e numero nove, quando si arrivava al limite dell’aria e si sbagliavano appoggi poco complicati, mancando spesso l’appuntamento con l’estemporaneità. Henrikh Mkhitaryan è mancato tantissimo. E se ne è parlato pochissimo.

In the box - @augustociardi

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