Il brutto del calciomercato

28/12/2021 alle 09:38.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - "Se non si vende, difficilmente si potrà comprare", dichiarò l'importante dirigente. Chi ha detto "me cojoni"? Già, le roboanti frasi del calciomercato nascono a volte dai più grandi luoghi comuni (o meglio, banalità) che una materia così inflazionata possa produrre. Col passare degli anni, col proliferare di esperti spesso autonominati tali, con spazi da riempire inizialmente sui giornali e poi nelle tv, nelle radio, sul web e sempre di più sui social, è sempre più forte la sensazione di assistere a un film visto e rivisto, in cui cambiano leggermente le trame, sicuramente gli attori narrati (calciatori e operatori), ma mai i copioni e le battute. C'è da (provare a) vendere un prodotto, si trascura la qualità, si propone un piatto spesso riscaldato e poco rifocillante, si utilizzano termini che seguono le tendenze del momento fino a sfociare nei più ammorbanti tormentoni, fino a svilire la nostra lingua.

E allora la "Roma comprerà un centrocampista" diventa "la Roma farà il centrocampista", il verbo comprare lascia il posto al verbo fare, come se il calciatore si dovesse scolpire nel legno, come se in mediana servisse Pinocchio. E se dopo avere ottenuto un prestito ci si guadagnerà il diritto di riacquisto, si mollerà l'italiano parlando di recompra. Magari perché uno dei grandi esperti di mercato avrà utilizzato tale parola in un tweet sbrigativo, facendo involontariamente tendenza. E magari alla notizia avrà aggiunto una clessidra per far capire che manca poco alla chiusura dell'operazione, rendendo persino la clessidra un simbolo immancabile nelle comunicazioni di affari imminenti, al pari dell'onomatopeico tic tac tic tac, utilizzato sui social per la prima volta da Rami Abbass, agente di , quando l'attaccante stava per passare alla Roma.

Per dare forza alla propria posizione, molti "esperti" di mercato gonfiano l'ego davanti alle platee, iniziando le frasi con "mi dicono", un modo piacione per mostrarsi inseriti nei salotti di mercato che contano, che ai più ingenui farà pensare "chissà chi glielo ha detto!". Oppure, in slang romanesco esportato in tutta Italia, ricordando urbi et orbi che "c'ho lavorato", per evidenziare che le sue parole sono il frutto di opere di informazione capillari e mastodontiche.

Ci si prende molto sul serio. Imitando, o spesso scimmiottando, quei pochi che realmente possono affermare "mi dicono" e "c'ho lavorato". Non bisogna fare però di tutta l'erba un fascio, perché anche fra gli emergenti c'è chi si fa il mitologico mazzo per proporre informazioni verificate dietro le quali si cela un lavoro lungo e curato nei dettagli. E c'è, udite udite, chi non si fa contagiare dal virus della mitomania. Importante, per i fruitori di notizie di calciomercato, è selezionare, perché non è giusto confondere chi non va a caccia di like ma di notizie, verificate, con chi invece prova a cavalcare l'onda dandosi un tono, che non ha fonti se non quelle pubbliche e alla portata di tutti, per cui basta fare copia e incolla modificando leggermente i testi per spacciare una un rumore, uno scricchiolio, per golosa, clamorosa e assordante esclusiva.

Già, ESCLUSIVA. Oramai è tutto un'esclusiva, perché si vuole marcare il territorio. Però se tutto è esclusivo, nulla è esclusivo, ma occhio a farlo notare. Ci sono alcuni espertoni di mercato che si distinguono per permalosità, e metà del loro tempo la utilizzano per ribadire quanto siano stati bravi a dare per primi la notizia, quanto i rivali siano invece dei poveri disadattati incapaci. Nei residui di tempo bacchettano i poveri cristi che pongono loro domande considerate tendenziose. Deliri di inesistente onnipotenza di cui nessuno sente il bisogno.

Ci si auto fomenta, magari senza avere mai bazzicato mezza volta gli hotel milanesi, usati da decenni come base per gli uffici della Lega di A e per gli operatori di mercato. Oggi molto meno affascinanti rispetto a una ventina di anni fa, quando fra i corridoi potevi ancora beccare il grande agente, attorniato da avvocatini aspiranti procuratori in rampa di lancio, quelli che all'epoca come oggi ostentavano e ostentano importanza non riconosciuta e un look stereotipato fatto di camicie con le iniziali cucite sul fianco bene in vista e che al posto dei colletti montano collari elisabettiani, alti decine di centimetri, indossando, in luogo dei calzoni, cannucce aderentissime, al polpaccio, rigorosamente scoperto perché il mocassino andava e va portato senza calze. Un calciomercato dei luoghi comuni, nel dire, nel fare, nel vestire. Luoghi comuni bazzicati da chi lo genera e da chi lo racconta. Con buona pace di Maurizio Mosca che, senza mai prendersi sul serio, assieme a David Messina fece conoscere la materia in tv, su Italia Uno, quasi trentacinque anni fa. Bei tempi.

In the box - @augustociardi75

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