Plusvalenze alle stelle: 717 milioni in A

03/07/2019 alle 14:28.
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LA REPUBBLICA (M. PINCI) -  Nel report che ogni anno la Federcalcio presenta al pubblico, i conti del calcio sono divisi in due: il fatturato totale e il fatturato senza plusvalenze. La parola magica del mercato: il tappeto sotto cui il calcio italiano nasconde il rosso della propria gestione, contraltare indispensabile ai costi in continua crescita delle squadre attanagliate da un “rosso” di 200 milioni l’anno e 4 miliardi di debiti. Un business da 700 milioni Tra il 1° luglio 2018 e il 30 giugno 2019, i club di Serie A hanno fatto registrare qualcosa come 717 milioni di plusvalenze. Oltre un terzo della cifra l’hanno prodotta due club soltanto: e Roma, rispettivamente con 113 e 132 milioni, che nel bilancio appena chiuso frutteranno una vera e propria boccata d’ossigeno. E non è un caso: la è il club che spende di più per pagare gli stipendi ai propri tesserati, la Roma è tra quelle che spendono di più sul mercato, appesantendo il bilancio di costi altissimi per i cartellini. D’altronde, più vendi, per lucrare plusvalenze, più dovrai comprare. Più compri, più appesantisci i conti. Un circolo vizioso che si autoalenta fino a che la bolla non esploderà. Pure il , che nel 2018 aveva chiuso con soli 6 milioni di passivo, ha prodotto quest’anno 86 milioni di plusvalenze. Lo “scambificio” La via naturale della plusvalenza è il sacrificio tecnico di un gioiello del club: indebolisci la squadra ma salvi i conti. Ci sono però altri metodi per ottenere gli stessi benefici a bilancio senza depauperare la rosa. Uno è lo scambio. L’altro è la cessione e il futuro riacquisto di uno stesso giocatore. Soltanto in questo mercato estivo, i club hanno scambiato calciatori per un valore totale di 150 milioni. Spinazzola a Roma e Luca Pellegrini a Torino, a e Diawara a Roma, Brazao all’ e Adorante al Parma, Sala al e Sensi in nerazzurro, Lazzari alla Lazio e Murgia alla Spal. Di questo mare di quattrini però si sono mossi realmente soltanto 40 milioni. In pratica, un euro su 4 è stato speso davvero. Il paradosso è Sensi, il cui prestito è stato coperto interamente da un ragazzino come il 20enne Marco Sala, 34 presenze in C con l’Arezzo nell’ultimo anno. Lo scorso anno i nerazzurri fecero lo stesso per Politano e al andò Odgaard, la Roma ricalcò l’operazione per Cristante. L’impegno al riacquisto Quella della cessione dei ragazzini per sistemare i conti è una prassi all’: dal 2014 a oggi, i nerazzurri hanno messo a bilancio 121 milioni di euro di plusvalenze vendendo prodotti del vivaio. Un unicum permesso dai risultati delle formazioni giovanili (24 titoli in 9 anni) ma anche da una rete di rapporti consolidata. Che permette operazioni come quella che ha portato al Pinamonti in cambio di 18 milioni. Il li verserà obbligatoriamente tra un anno ma a bilancio vanno subito. E a margine del contratto, si parla apertamente di un “impegno” a riacquistare il calciatore entro due anni (se nel frattempo il non l’avrà rivenduto) a una cifra leggermente superiore. È già successo con Dimarco (andata e ritorno dal Sion), Gravilon (triangolato tra Benevento e ) e Radu, proprio col . Il ragazzo ha mosso in due anni 28 milioni per andare e tornare: giocherà in prestito ai rossoblù. La “recompra” modificata La tecnica è stata per un anno legittimata da una norma della Federcalcio: la famosa recompra, sul modello spagnolo, che permette al club, quando cede un calciatore, di fissare già il prezzo per riacquistarlo. La Figc ha fiutato l’aria e ha modificato la norma: ora la cessione con recompra non produce benefici finché non c’è l’esercizio o la rinuncia al diritto. E la recompra, misteriosamente non la utilizza più nessuno.

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