
CORSPORT - L'ex storico attaccante della Roma Roberto Pruzzo ha rilasciato un'intervista speciale per il quotidiano sportivo, dove riavvolge il nastro della sua carriera nel giorno del suo settantesimo compleanno. Queste le sue parole.
Roberto, ma è vero che prima delle partite (o durante) ti sentivi male per la tensione?
"In campo mi trasformavo. In certe partite eravamo tirati al massimo, io in particolare con il mio carattere litigavo con tutti, ma devo anche dire che quando l'arbitro fischiava la fine non mi ricordavo più niente. Con il mio carattere, di grandi partite non ne ho sbagliata nessuna, magari rischiavo di non riuscire a mantenere la stessa concentrazione contro gli avversari più scarsi. Una giusta tensione deve esserci sempre".
Ancora oggi vi rivedete spesso tra voi, i campioni dell'83.
"Eravamo un gruppo molto legato. Certo, con Bruno (Conti, ndr) ho giocato insieme dieci anni, non può esserci lo stesso rapporto con chi ha giocato un solo anno. C'è stato qualcuno con il quale non avevo un grande feeling, ma con Iorio e Prohaska ho giocato una sola stagione e siamo rimasti in ottimi rapporti".
Hai legato quasi tutta la tua carriera alla Roma, per i tifosi sei ancora il Bomber. Ti è dispiaciuto essere andato a chiudere a Firenze?
"No, assolutamente. Forse alla Roma l'ho tirata un po' per le lunghe, avrei dovuto andare via prima. Avevo bisogno di sentirmi io: quando diventi un'alternativa, quando sei stato il numero nove per tanti anni, fai fatica. E poi non ero un granché da panchinaro. A Firenze mi sono trovato bene, in un ambiente di amici, bella esperienza. Al di là del gol nello spareggio Uefa che fece fuori la Roma (ride, ndr). Lì ho trovato un gruppo di persone che conoscevo bene, con Sven (Eriksson, ndr), il suo secondo Santarini, l'allenatore dei portieri Negrisolo".
Tra gli avversari pochi amici, uno dei più spigolosi era Brio.
"In campo non bisogna essere amici, devi fare qualsiasi cosa per mettere in difficoltà chi ti sta davanti, in campo vale tutto, poi tra persone serie finisce lì. Ma quello che più di tutti mi rompeva le palle era Vierchowod. Purtroppo l'ho avuto come compagno un solo anno: avrebbe dovuto fare 500 partite con la Roma, era uno tosto, uno duro".
Oggi sono 70, cosa chiedi alla vita?
"Conta la qualità di come si vive, è fondamentale. Ti devi allenare, più passano gli anni e più devi stare attento. Io non lo sono molto...Avrei voluto fare la maratona, ho corso per tanti anni, ora non lo faccio più come prima. I malanni ci sono, ci mancherebbe, mica sono bionico. Non ho più il ritmo di qualche anno fa. Ti devi adeguare alle situazioni e trovare sempre una motivazione per essere felice. Non sempre è facile trovarle e così c'è il rischio di cadere nella depressione, ti vengono brutti pensieri in testa. Mia moglie è stata fondamentale, ma devo dire grazie a Roberta che in certi momenti è stata più di una figlia. Ora è tutto superato".
In campo eri un rompiscatole. Con gli avversari, i compagni, gli arbitri. Eppure sei stato espulso raramente.
"Ma io ero amico degli arbitri, sono riuscito a creare un rapporto confidenziale. Il mio vaffa era plateale, ma valeva quello che gli dicevo in campo. C'era un certo rispetto reciproco. A parte qualche eccezione, riuscivo ad avere un buon rapporto con gli arbitri".
Liedholm ti ha dato tutto.
"Non c'è dubbio, da tutti i punti di vista. Credeva in me perché ho sempre giocato e poi aveva costruito una squadra che mi metteva nelle condizioni migliori per fare gol. Mi dava tranquillità e responsabilità e mi permetteva di dare il meglio. Ma in assoluto non ho mai avuto grandi problemi con gli allenatori, ho sempre giocato, ho sempre fatto il titolare fino all'ultimo. Liedholm era un personaggio, in assoluto. Sulla sua scaramanzia si potrebbe scrivere un libero. Una volta, prima di una trasferta a Cagliari, ci portò in ritiro a Busto Arsizio per incontrare un suo amico mago. Non voleva mai i fiori fuori dallo spogliatoio".
In Nazionale invece non è stato così, anche se in quegli anni eri il centravanti che segnava di più.
"Il diritto di giocare in azzurro non si acquisisce con i gol. Ho perso un paio di Mondiali, è andata così. Il carattere fa parte della persona. Io se devo dire qualcosa la dico, con educazione. A quei tempi Bearzot aveva altre esigenze e quando ho espresso il mio disappunto perché pensavo di meritare di essere titolare non sono stato più chiamato. Preferiva Paolo Rossi, ha vinto e ha avuto ragione lui. Ma non ho rimpianti".
Oggi c'è un altro Pruzzo?
"Ce ne saranno tanti meglio, ma come me non c'è nessuno".