Post Match - L'eredità

04/03/2024 alle 14:41.
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LAROMA24.IT (MIRKO BUSSI) - Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Nella teoria della conversazione con cui De Rossi sta tentando di rovesciare le dinamiche della Roma, nulla ha creato, nulla ha distrutto, molto, di certo, sta continuamente trasformando.

L'aspetto di maggior rilievo, forse, nei 48 giorni trascorsi ad oggi a Trigoria è la sensibilità con cui ha maneggiato la materia più incandescente: l'inevitabile paragone con José Mourinho. Ha sapientemente evitato manie iconoclaste, svicolando a ogni possibile collisione di confronto, riutilizzando e reinterpretando, dove e come gli risultava conveniente, parte dell'eredità.

Come a Monza, quando la Roma ha impugnato un sistema di pressioni uomo su uomo che è servito a graffiare l'abile costruzione su cui si fonda la squadra di Palladino. Una struttura, contornabile in un 3-5-2 quando la palla era tra i piedi di Di Gregorio che aveva chiare assonanze con quella che più volte la Roma aveva mostrato nella prima parte di stagione, con le uscite dei quinti, Kristensen ed El Shaarawy, sui terzini avversari o, come si dice oggi, su chiunque ne svolgesse la funzione. Ne è venuta fuori la Roma più aggressiva registrata dall'arrivo di De Rossi: 56,67 metri di baricentro medio del primo tempo, infatti, rappresentano un record (parziale, perché numeri più alti erano già stati fissati nel girone d'andata) per una squadra che, per dare un'idea, contro il Torino stazionava mediamente 10 metri più in basso. E la Roma arrivava a disturbare concretamente le iniziative del Monza, tanto che saranno 4 i contrasti affondati nei 35 metri più vicini alla porta avversaria, un dato che è superato soltanto dai 5 registrati in campionato contro il Lecce. Arrivare, dunque, direttamente a bloccare la sorgente del Monza con quel 6 contro 6 che si può vedere anche in foto o, al limite, costringerla a percorsi avventati: quei rinvii ripetuti di Di Gregorio su cui poi Ndicka e Mancini facevano il loro mestiere.

 

Una strategia collettiva che portava, di conseguenza, i giocatori più arretrati della Roma, Mancini, Ndicka e Angeliño nello specifico, a tornare sulle tracce dell'avversario di riferimento. Per questo, allora, non mancano momenti del primo tempo in cui Ndicka tampina Djuric senza farsi problema sulla porzione di campo calpestata, oppure Mancini accorciava coraggiosamente su chiunque il Monza alzasse (nella foto è Andrea Carboni, nominalmente terzino sinistro) dietro le prime pressioni della Roma.

Nella rielaborazione dell'eredità che ha permesso alla Roma di stazionare maggiormente nella metà campo avversaria sabato pomeriggio, sono rimaste anche alcune tracce di muffa emerse in passato. In particolare, nella gestione dei cambi di marcatura. Quel sistema di pressioni sull'uomo, infatti, rischia il cortocircuito quando gli avversari accendono vortici di smarcamenti, ancor più se combinati tra loro.

È quello che accade, ad esempio, al 34' del primo tempo, sul risultato ancora di 0-0. Su un'altra costruzione del Monza sul lato destro del campo, Valentin Carboni si smarca portandosi dietro Paredes mentre il percorso inverso, abbassandosi centralmente, lo compie Colpani, seguito da Angeliño. Ne consegue che la Roma si trova a posizioni, difensive, invertite rispetto alla struttura iniziale. E sul successivo interscambio che Carboni farà con Birindelli, diretto ad attaccare la profondità, Paredes non mostra la reattività, prima percettiva che fisica, necessaria a riconoscere il cambio di marcatura e poi, in campo aperto, pagherà il suo dazio di velocità permettendo all'esterno del Monza di arrivare pericolosamente all'interno dell'area romanista con un tiro che rullerà al lato di Svilar e sulla schiena dei tifosi romanisti. Perché, in ogni eredità, esistono anche costi di successione.

 

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